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Saggio

Il concordato semplificato nel prisma delle prime applicazioni*

Salvo Leuzzi, Magistrato addetto al Massimario della Suprema Corte di Cassazione

19 Maggio 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’A. torna sul concordato semplificato, riprendendo il filo delle riflessioni avviate su questa Rivista subito dopo il varo del D.L. n. 118/2021, con lo scritto a sua firma intitolato Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario. L’istituto viene trasversalmente scrutato nel complesso dei suoi profili funzionali e procedimentali, al lume delle prime esperienze operative e del vivace dibattito dottrinale che le ha accompagnate.
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1 . Natura e funzione dell’istituto
L’art. 25 sexies CCII ricalca senza sostanziali modifiche il contenuto dell’art. 18 D.L. n. 118/2021, disciplinando una procedura concordataria agevolata, quale exitus possibile di una composizione negoziata svoltasi secondo correttezza e buona fede, eppure improduttiva di soluzioni efficaci[1]. 
A tenore del comma 1 della norma l’istituto trova nella composizione negoziata il suo necessario corridoio d’ingresso, presupponendo che nella relazione finale commissionata dall’art. 17, comma 8, CCII all’esperto negoziatore, come adempimento conclusivo del suo mandato, siano certificate in simmetria due circostanze: per un verso, l’avvenuto svolgimento, secondo gli accennati canoni di correttezza e buona fede, di trattative ciononostante naufragate[2]; per altro verso, l’impraticabilità sperimentata di tutte le altre soluzioni contemplate dall’art. 23, commi 1 e 2, lett. b), CCII, ai fini della proficua regolazione della crisi a conclusione del percorso camerale intrapreso, soluzioni che oscillano fra il contratto di risanamento e l’accordo di ristrutturazione dei debiti. 
Solo in questa documentata situazione, l’imprenditore, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione della relazione in parola, è legittimato a presentare una proposta concordataria, anche (ma non indefettibilmente) incentrata su una suddivisione in classi dei creditori, prevedente la cessione dei beni e un piano di liquidazione, oltre al dettagliato corredo documentale previsto in linea generale dall’art. 39 CCII per l’accesso ad uno qualsiasi degli strumenti di regolazione della crisi o ad una procedura di insolvenza. 
Il termine di sessanta è decadenziale e soggetto alla sospensione feriale in quanto inerisce al procedimento condizionandone l’ammissibilità[3].
Il concordato semplificato è iscritto da rubrica nel novero dei concordati liquidatori, benché non ne riproduca in senso tradizionale le funzioni tipicamente disgregative. Ciò che in forza della disposizione si tende a semplificare è il passaggio in capo a terzi di un residuo attivo del compendio aziendale, reimpiegabile in quanto tale nell’esercizio di un’attività economico-produttiva[4]. 
Parzialmente diversa sembra l’opinione che sottolinea la matrice strettamente liquidatoria del semplificato, segnalando che quand’anche avvenga la cessione dell’azienda, la stessa “non è … funzionalizzata alla continuità ma alla massimizzazione del valore”, quindi all’ottenimento di un “ricavato migliore” per i creditori. 
In realtà, il riferimento alla liquidazione non postula una finalità meramente dismissiva e parcellizzata di beni e diritti del debitore in funzione esclusivamente satisfattoria di crediti, sembrando, piuttosto, volto ad escludere, per taglio netto, l’applicazione dello statuto della continuità aziendale, che infatti non è richiamato. 
Lo strumento semplificato ben si presta, pertanto, a favorire, anche la salvaguardia di quanto rimane della continuità dell’impresa decotta, assicurandone il passaggio a terzi della realtà produttiva mentre essa, pur annaspando, è ancora in vita[5]. Il deragliamento dal binario delle regole del concordato ordinario e l’abbassamento di voce dei creditori in tanto si giustificano in quanto collegate, non tanto e non solo alla tutela a basso costo dei crediti, quanto all’imperativo unionale della difesa a spada tratta dei valori aziendali.
Ogni imprenditore commerciale o agricolo è abilitato al deposito della domanda di composizione negoziata – scevra da limiti dimensionali – dunque, nell’evenienza dell’insuccesso di quell’esperimento, ha la facoltà di invocare l’omologazione di un concordato semplificato, procedura alla quale hanno accesso in linea generale anche le imprese commerciali minori (art. 2, lett. d, CCII), benché sottratte, al pari delle agricole, all’alveo della liquidazione giudiziale[6]. 
L’imprenditore che aspiri al semplificato dev’essere necessariamente iscritto nel registro delle imprese, posto che l’art. 13 CCII prevede che solo in quanto lo sia egli può accedere alla piattaforma telematica nazionale attraverso la quale il percorso in larga parte si dipana.
Il semplificato ha l’indole dell’extrema ratio, cui affidarsi quando tutti gli altri strumenti di regolazione della crisi di cui al richiamato art. 23, commi 1 e 2, lett. b) CCII  – tanto contrattuali, quanto concorsuali – siano attestati dall’esperto come inagibili. A quel punto attraverso il veicolo concordatario può addivenirsi ad una rapida cessione dell’azienda, finanche in anticipo sull’omologa. 
L’imprenditore deve metabolizzare l’idea dell’irraggiungibilità del risanamento dell’impresa, persuadendosi che la documentata insussistenza di soluzioni alternative sia un dato condivisibile e che l’unica opportunità operativa rimasta sia quella liquidatoria del “non fallimento”[7]. 
Quest’opzione rassegnata il debitore finisce per esercitarla dinanzi ad un tribunale “gemello” rispetto a quello “fallimentare”, giacché chiedendo l’omologazione del concordato semplificato di fatto consuma la propria resa, spogliandosi anzitempo del complesso aziendale, per alienarlo a terzi in favore dei creditori. Guadagnare l’esonero dalla liquidazione giudiziale è di per sé un beneficio. Ex latere debitoris la funzione che contrassegna ontologicamente il concordato – quindi pure il semplificato – è quella esdebitatoria: si raggiunge l’obiettivo di appianare, pur pagando lo scotto di lasciare ad altri l’azienda, le esposizioni passive dell’impresa, smarcandola dalle obbligazioni originarie con riferimento al residuo non corrisposto. Il debitore esce di scena e percorre il senso di marcia obbligato della dismissione dell’azienda al miglior offerente. È la stessa operazione che si compirebbe, sotto l’egida del curatore, in una futuribile liquidazione giudiziale, ma a distanza di mesi, quando dell’azienda sarebbe spirato il restante soffio vitale. 
Poco condivisibile l’avviso affacciatosi nella giurisprudenza di merito, a tenore del quale, sebbene la struttura del concordato semplificato sia delineata alla stregua di “concordato per cessione dei beni”, sarebbe in linea di principio configurabile la previsione di una continuità diretta in funzione di una successiva liquidazione, purché i costi di gestione non vadano a detrimento dei creditori nelle more della dismissione dell’intero patrimonio aziendale, in misura tale da inficiare l’equivalenza della proposta concordataria in rapporto all’aspettativa di soddisfacimento nell’ipotesi liquidatoria[8]. In realtà, l’istituto neonato sembra destinato a scongiurare lo smembramento del compendio aziendale, ma in una prospettiva indilazionabile di soddisfazione dei crediti analoga a quella propria della liquidazione giudiziale, nel cui ambito non è ipotizzabile la permanenza nella detenzione dell’azienda del debitore. Quest’ultimo viene immantinente disarcionato dal compendio produttivo, potendo l’esercizio dell’impresa proseguire semmai sotto la guida del curatore (art. 211 CC). 
Più convincente, appare l’arresto giurisprudenziale che ha ritenuto ipotizzabile, attraverso il concordato semplificato, uno scenario “migliorativo” imperniato su un accordo con le organizzazioni sindacali idoneo a ridurre il passivo e su una continuità aziendale indiretta volta a valorizzare, ma nel breve periodo, i complessi aziendali in funzione di una più proficua loro cessione[9].  
In realtà, il trasferimento impone indefettibilmente una cessione dell’attività, non del solo godimento, come pure taluno ha anche in dottrina argomentato[10]. La ragione è evidente: il concordato liquidatorio non concede i tempi supplementari all’impresa decotta, né spalanca lo scenario underground dell’esercizio in via indiretta della stessa attività. Piuttosto, si risolve in una corsia esdebitatoria alternativa al fallimento, che importa la cessione totale e definitiva dei beni che nel fallimento verrebbero spossessati e monetizzati. Come è stato osservato da altra dottrina il concordato semplificato “deve comunque prevedere la liquidazione del patrimonio dell’imprenditore”[11]. La cessione immaginata dal riformatore rientra nell’arco delle cessioni traslative, volte a monetizzare i beni per destinarne il ricavato in via diretta al riparto fra i creditori, non per finanziarne l'esercizio d’impresa.
D’altronde, il presupposto del concordato semplificato è l’irreversibilità dell’insolvenza. Il risanamento non è possibile neppure in via mediata. La procedura a quel punto tende necessariamente a realizzare, non il recupero dell'equilibrio economico ormai svanito e la riconduzione dell'impresa nell'area della redditività, ma la funzione (più modesta) del mantenimento dell'unità operativa in capo ad altri al fine di ottenere liquidità per soddisfare i creditori. L'intento del risanamento dell'impresa è del tutto estraneo alla procedura liquidatoria semplificata, che tiene luogo del fallimento, pur evitandone lo stigma. 
La logica, quand’anche non disgregatrice dell'impresa insolvente, rimane orientata alla tutela primaria dei diritti dei creditori. Lo scopo non è più rimettere in sesto l'impresa, ma non disperdere il valore unitario del complesso aziendale dal momento che la vendita dell’intero massimizza l’attivo.
L’azienda è fatta sopravvivere all’insolvenza sulla considerazione che, sino a quando l’unità produttiva e organizzativa conserva una funzionalità all'esercizio dell'impresa, essa risponde ai requisiti di cui all’art. 2555 c.c. e non v’è ragione di sottrarla al suo impiego dinamico da parte di un terzo finanziariamente non compromesso.
In ogni caso, l’eventuale vendita unitaria dell’azienda deve doverosamente connotarsi alla stregua di modalità funzionale ad acquisire un maggior ricavo rispetto ad una successiva alienazione parcellizzata di macchinari. 
Il varco d’accesso al concordato è stretto ed è l’ultimo transitabile, quando non si scorge altro bivio possibile, il che giustifica come necessaria la divaricazione del nuovo strumento dal concordato liquidatorio ordinario in punto di percentuale di soddisfacimento dei creditori: vi è un imprenditore che passa la mano; vi è da proteggere il brandello di continuità che rimane e suo tramite le posizioni dei creditori. Nel quadro di un imprenditore che cede l’azienda è fisiologico non vi sia alcunché da potere o dovere “assicurare”: non la misura minima del 20%, non un soddisfacimento addirittura incrementale del 10% rispetto a quello ritraibile in ipotesi di liquidazione concorsuale (art. 84, comma 4, CCII).  La norma sul semplificato è allo stato un addendum imposto da un’impossibilità diffusa: quella degli imprenditori prostrati da un triennio di pandemia e dalle ripercussioni del conflitto russo-ucraino di avvalersi del concordato ordinario, troppo rigido nelle forme, ipertrofico nelle pretese. Quando lo squilibrio è incolmabile e a nulla è valso l’intervento dell’esperto facilitatore, l’unico obiettivo non velleitario coincide con un risultato equipollente a quello conseguibile in una liquidazione giudiziale ipotetica; il solo mezzo spendibile diviene allora una procedura snella e celere che nel garantire contraddittorio, ne sterilizza tempi, costi e incombenti, imperniandosi, inoltre, su un sondaggio non schematico del mercato, col contrappeso di un’accresciuta responsabilità decisionale del giudice. 
L’itinerario concordatario è facilitato in quanto, nel segmento della composizione, sono state scrutate e discusse le possibili alternative all’attuazione della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., ed evidentemente non se ne è ravvisata alcuna. La liquidazione giudiziale apparirebbe a quel punto un rimedio farraginoso e sovradimensionato rispetto all’urgenza esclusiva della massimizzazione del ricavato e della salvaguardia di un pezzo resiliente di produttività dell’azienda[12].
Normale, su questa scia, che l’approdo del concordato semplificato non possa reggersi concettualmente sul miglior soddisfacimento dei creditori, dovendosi contentare dell’assenza di pregiudizio. Quando l’imprenditore varca l’uscita di sicurezza dal mercato, perché ogni altra possibilità è sbarrata, ciò a cui si può aspirare è la ripartizione tra i creditori delle utilità ricavabili, a ognuno di essi dovendosene riservare almeno una, quale che sia (art. 25 sexies, comma 5). 
È la garanzia patrimoniale generica ad essere indifferibilmente attuata. E poiché nel contesto del semplificato non vi è una cessione accettata dai creditori, sembra esclusa in radice la cedibilità solo parziale dei beni. Il debitore non può, d’altronde, restringere la garanzia generica ex art. 2740 c.c. se non sulla scorta di un accordo coi creditori, che qui non sussiste. 
Certo, un’azienda ancora in piedi finisce per passare di proprietà senza il voto dei titolari delle pretese, ma è la partecipazione dei creditori nella fase della composizione negoziata a spiegare “la semplificazione degli adempimenti”[13]. Il bilanciamento delle esigenze avviene, peraltro, su altri due piani convergenti: il primo attiene all’estensione onnicomprensiva del rimedio dell’opposizione all’omologa, utile ad agitare ogni contestazione di forma, di sostanza, di convenienza; il secondo riposa nel correlato ampliamento del perimetro del sindacato giurisdizionale in ambito di omologa, nel quale ricade un vaglio tout court e senza distinguo di fattibilità. L’ampliamento del vaglio è evidenziato dalla dottrina, che segnala “uno spostamento del baricentro dai creditori (non chiamati al voto e facoltizzati semplicemente a opporsi all’omologazione) al tribunale, deputato a concedere l’imprimatur al concordato senza che questo sia stato, per l’appunto, approvato dai creditori” con un conseguente “rafforzamento delle prerogative giudiziali”[14]. 
Vi è al fondo di questo concordato coattivo un equilibrio di interessi, fra il debitore provvido, che non ha occultato le proprie difficoltà e ha spalancato i portoni dell’azienda, invocando l’opportunità di risanarla, e i creditori, che pervasi a loro volta di buona fede, hanno legittimamente respinto le contromisure prospettate dall’imprenditore in affanno. L'esigenza di sistema, a quel punto, alligna nell’impellenza di dare ordine allo squilibrio incolmabile, al minimo costo e col miglior risultato, tenendo insieme tutela del credito e salvaguardia di ciò che avanza della produttività dell’azienda. 
In quel contesto, il presidio delle regole e delle necessità non è nella perpetuazione dell’insanabile conflitto fra debitore e creditori o fra le opposte fazioni in cui questi ultimi si radunano, ma nella valorizzazione del giudice, del suo ruolo di regista di interessi, di metronomo di posizioni.
Al pari del concordato ordinario, il semplificato presenta le caratteristiche più ricorrenti dell’archetipo “procedura concorsuale”. Intanto, perché postula un accertamento della crisi-insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria, cui si accompagna un successivo controllo da parte di essa sull’appendice gestoria del dissesto concorsualizzato. Inoltre, perché in esso si assiste alla realizzazione attraverso i beni del debitore della garanzia patrimoniale, con la creazione di un vincolo su un complesso di risorse in funzione satisfattiva dei creditori, sotto lo stendardo della par condicio (o di quel che ne rimane). Ancora, perché viene in rilievo una larga sequela di esenzioni da revocabilità, sia di atti che di pagamenti[15]. 
Proprio dalla circostanza della riconducibilità entro l'alveo delle procedure concorsuali, la Suprema Corte, cimentandosi col nuovo istituto, ha tratto la regola dell’irrilevanza – ai fini della individuazione della competenza per territorio – del trasferimento della sede sociale nell'anno che precede il deposito del ricorso[16].
La corrispondenza perfetta di sembianze fra ordinario e semplificato è solcata da alcuni segni particolari di diversità. L’art. 18, comma 2, D.L. n. 118 del 2021, prevedeva un meccanismo di protezione patrimoniale, articolato in un arresto totale delle iniziative cautelari ed esecutive e nel freno all’accaparramento delle prelazioni; il blocco era identico a quello del concordato ordinario, stante il richiamo all’art. 168 L. fall. L’automatic stay è stato soppresso nel contesto codicistico, ove l’assenza di richiami a meccanismi alternativi di salvaguardia patrimoniale, pone il problema dell’applicabilità al concordato semplificato delle disposizioni di cui agli artt. 54 e 55 CCII in tema di misure protettive e cautelari (v. infra 4.). 
La seconda peculiarità attiene la fisionomia del procedimento: il concordato liquidatorio ordinario è procedura concorsuale negoziata coi creditori, laddove lo strumento di nuovo conio si connota come procedura imposta. La negoziazione, d’altronde, si è già districata dinanzi all’esperto, rivelandosi improduttiva. Proprio l’anima di concordato imposto che contraddistingue il semplificato, lo rende procedura autonoma, non mera variante del concordato preventivo ordinario[17]. Il che esclude l’applicazione diretta delle norme dedicate alla regolazione di quest’ultimo di cui non consti espresso richiamo[18].
L’accessibilità in extremis di una procedura concorsuale che prescinde dall’approvazione dei creditori costituisce un incentivo alle parti a trattare per tempo. Proprio lo sfondo eventuale della semplificazione liquidatoria ha un’intrinseca valenza di sollecito, soprattutto nei confronti dei creditori più refrattari, incoraggiati a mettersi in ascolto, anziché a rimanere passivamente in attesa e in disparte. Il debitore è in grado di paventare uno scenario di dismissione in favore del miglior offerente o dell’unico in circolazione (nulla esclude sia un soggetto che orbita nei paraggi dell’impresa in composizione negoziata). Ciò consente all’imprenditore in difficoltà di uscire dall’angolo per esprimere una formidabile forza contrattuale al tavolo dell’esperto. I creditori sono meglio indotti a prender fattivamente parte alle negoziazioni, ricercando già a monte e in quell’ambito soluzioni adeguate e cogliendone tutte le opportunità e le sfumature, posto che a valle non ne scorgerebbero di più vantaggiose, anzi, forse, non ne rinverrebbero alcuna. 
Il decreto dirigenziale del 28 settembre 2021 in materia di composizione negoziata assegna all’esperto il compito “in qualunque momento risulti utile per le trattative” di stimare le risorse derivanti dalla liquidazione dell’intero patrimonio del debitore, il che serve a offrire alle parti la possibilità di apprezzare in modo avveduto i diversi scenari a quel punto possibili di affronto della crisi[19]. 
Il debitore, dovendo comportarsi secondo buona fede e correttezza (art. 25 sexies, comma 1, CCII), dev’essersi mosso per tempo. Non è ipotizzabile che l’impresa giunga esanime dinanzi alla camera di commercio, tanto da infrangersi nell’archiviazione dell’istanza di composizione per l’assenza, stimata senza indugio dall’esperto, di “concrete prospettive di risanamento all’esito della convocazione o in un momento successivo” (art. 17, comma 5, CCII). L’archiviazione immediata tendenzialmente esclude si siano svolte “in buona fede” trattative fra le parti, quindi, testimonia la mancanza di quella negoziazione proattiva che rappresenta, in uno con la certificata impraticabilità di soluzioni alternative, la porta d’ingresso al concordato semplificato[20]. 
2 . Presupposti e corollari
Il presupposto oggettivo di accesso al concordato semplificato è rappresentato dalla crisi indicata alla lett. a) o – indifferentemente – dall'insolvenza enucleata alla successiva lett. b) dell’art. 2 CCII. L’istituto si innesta nel novero degli strumenti di regolazione di cui alla lett. m bis CCII. Questi ultimi sono affidati all’imprenditore a prescindere dalla gravità quantitativa del dissesto, in quanto mezzi tra di loro fungibili e insieme funzionali a perseguire il target del risanamento dell’impresa, attraverso la modifica della composizione, dello stato e della struttura delle sue attività e passività e del capitale. 
In un contesto concorsuale sempre più rispondente ad un binomio di elementi tendenzialmente convergenti – tutela del credito da una parte, viability dall’altra – il perno su cui si muove l'operatività degli strumenti è il recupero della sostenibilità economico-finanziaria della realtà produttiva. Ciò esclude possa rilevare la circostanza che il soggetto sia già al debutto sul piano inclinato della decozione oppure versi già in una situazione di illiquidità attuale; anche nel secondo caso la sostenibilità permane ogni qualvolta quel soggetto si mostri in grado di colmare, anche con l’ausilio di un terzo, la voragine economico-finanziaria. Lo stato del debitore postulato dalla norma pare comprensiva di tutti gli squilibri dell’impresa e cioè sia dell’insolvenza reversibile, che dell’insolvenza irreversibile, costituendo entrambe le situazioni aspetti quantitativi di un medesimo fenomeno, distinguibili solo per la prognosi di superabilità carte alla mano. Non è accidentale che il penultimo periodo del comma 1 dell’art. 21 CCII in tema di gestione dell’impresa in pendenza di trattative consenta la prosecuzione di queste quand’anche, nonostante l’imprenditore sia insolvente, non siano venute meno le prospettive di risanamento. Quel che rileva è che l’insolvenza rivelatasi incolmabile all’esito del percorso di composizione negoziata, si mostrasse all’avvio di esso negoziabile e fronteggiabile, attraverso misure di contrasto concrete, poi travolte dalla congiuntura economica o in relazione alle quali l’accordo fra i creditori non sia giunto a maturazione.
Consentire l’imbocco della corsia d’accelerazione del semplificato anche all’insolvente, di fatto ponendolo nella condizione di imporre un sacrificio importante ai creditori in ragione del rifiuto della sua proposta in sede di composizione negoziata, potrebbe destare qualche epidermica contrarietà. In realtà, il complesso delle norme esclude che il concordato semplificato si offra all’imprenditore alla stregua di arnese a buon mercato per la gestione preordinata e artificiosa dell’insolvenza a detrimento dei creditori. Varie le ragioni, alcune su tutte. La piattaforma dell’art. 13, comma 2, CCII è istituita proprio per filtrare i dissesti. La lista particolareggiata e il test pratico in essa ricompresi dovrebbero liberare l’anticamera della Commissione per la nomina degli esperti dalle imprese esangui, per ospitarvi realtà produttive in grado perlomeno di concepire e di sperimentare piani di risanamento, sia pure di diversificata scansione temporale o probabilità realizzativa, stando alle indicazioni del Decreto Dirigenziale del 28 settembre 2021. Se il test è negativo all’impresa manca l’abilitazione a negoziare, a meno che essa non disponga di una panacea salvifica sub specie di iniezioni finanziarie di un terzo sufficienti a foraggiare un piano. Perché un piano – finanziario e industriale – l’art. 17, comma 3, lett. b), CCII all’evidenza lo pretende. Ciò comporta che l’impresa debba fare ostensione perlomeno delle risorse minime a sostegno della continuità aziendale nel successivo semestre e parallelamente svelare, sia pure sulla carta, ma in modo convincente, interventi plausibili in punto di apparato, strategie di mercato, allocazione delle risorse. Devono essere chiari fin dall’inizio anche le azioni di carattere straordinario che consentono effettivamente di programmare la reversione dell’insolvenza: nuovi mercati, nuovi prodotti, esazioni imminenti di crediti, rinnovate e più cospicue commesse, immissioni di capitale, rinunce ai crediti e via dicendo.
Ancora, i commi 4 e 5, dell’art. 17 CCII, cuciono addosso all’esperto un habitus fortemente dinamico, chiamandolo al rispetto di una tabella di marcia serrata, le cui tappe consistono nell’accettazione dell’ufficio entro soli “due giorni” dalla nomina, nella convocazione “senza indugio” dell’imprenditore dinanzi a sé e nell’immediata raccolta di informazioni presso l’organo di controllo e il revisore legale. 
La discosure in favore dell’esperto sullo stato economico-finanziario dell’impresa è sollecita, la presa di consapevolezza capillare e pedissequa. Il tutto giova alla valutazione indilazionabile dell’esistenza di “una concreta prospettiva di risanamento”. Il corredo documentale depositato dall’imprenditore in allegato al ricorso per l’accesso alla composizione negoziata è assai denso ai sensi dell’art. 17, comma 3, CCII. Proprio la concretezza prospettica viene evocata nel successivo comma 5 di detta norma, ben tre volte quasi alla stregua di mantra. Solo se la prospettiva è palpabile l’esperto può responsabilmente andare oltre incontrando “le altre parti interessate al progetto di risanamento”; se l’orizzonte fin dall’inizio è reso fosco dalle nubi dell’insolvenza e non s’intravvede un deus ex machina (terzo finanziatore, creditore indulgente) propenso a diradarle, l’esperto rimane solo, non incontra nessuno, deve limitarsi ad archiviare. 
Distillare la crisi dall’insolvenza, come pure distinguere le diverse coloriture della prima e della seconda, è operazione tassonomica viziata da un eccesso di zelo. La superabilità o l’insuperabilità della crisi, come pure l’irreversibilità o la reversibilità dell’insolvenza, costituiscono, in realtà, una variabile inesorabilmente collegata all’estensione dell’apporto finanziario di qualcuno e al rischio che quel qualcuno è disposto compiutamente ad assumersi[21]. Se vi è in concreto – non solo nelle intenzioni – un piano, persino l’insolvenza può essere recuperata. Che quel piano vi sia e che le prospettive siano concrete è l’unica circostanza di un qualche interesse per i creditori. Quel che conta è che all’avvio della composizione, la difficoltà, lo squilibrio, finanche il dissesto, siano negoziabili, in quanto il risanamento, pur non scontato, risulti ab actis – o per rapido supplemento d’indagine e riflessione – senz’altro programmabile.
Certo, il decreto dirigenziale del 28 settembre 2021 (al pari del successivo aggiornamento del 21 marzo 2023) ha una valenza suasoria, teso com’è a convincere le parti sull’importanza delle buone prassi che declina. Non ne va trascurata, peraltro, l’incisività nella parte in cui al punto 2.8. mette in mano all’esperto la bussola della reversibilità: in qualunque momento egli abbia contezza di una situazione di insolvenza irreversibile, è tenuto a chiedere l’archiviazione della composizione negoziata e il cerchio si chiude. Tra l’altro, i creditori possono, “fin dal primo contatto col giudiceinibire l'iniziativa dell'imprenditore chiedendo al tribunale di non confermare le misure protettive”, di fatto determinando l’arresto della composizione negoziata; qualora, viceversa, la trattativa prenda corpo per poi arenarsi in seconda battuta per mancato accordo, la passerella corta del concordato semplificato nulla aggiunge e nulla sottrae, stante il parametro dell’assenza di pregiudizio, ai creditori[22]. 
Il richiamato comma 5 dell’art. 17 CCII è, d’altronde, inequivoco nel sommare in capo al facilitatore due incombenze compenetrate: della prima si è detto e richiede di scrutare come concretamente possibile ab origine il risanamento; la seconda commissiona all’organo in parola, fin dall’esordio, il compito di pianificare detto risanamento, il che vuol dire trovare l’obiettivo del riequilibrio sufficientemente nitido e raggiungibile da poter tracciare “le possibili strategie di intervento” a beneficio delle parti, se non al primo incontro, in quelli subito successivi, da fissare “con cadenza periodica ravvicinata”. SI spiega già con buona evidenza che l’utilizzo del concordato semplificato come cabina di pilotaggio spregiudicato dell’insolvenza in danno dei creditori attiene ai casi eclatanti, che sono quelli del reato penale commesso in concorso (e in combutta) fra il debitore delinquente e l’esperto infedele. 
Il pubblico ministero, avvisato dell’avvio del concordato semplificato, incarnerà un ruolo di contrappeso. In particolare, l’organo requirente, in quanto destinatario della comunicazione del deposito del ricorso finalizzato all'omologazione del concordato, è facoltizzato a intervenire volontariamente nel relativo giudizio[23]. Analogo potere non può essere riconosciuto, al contrario, all'ausiliario nominato ai sensi del comma 3 dell'art. 25 sexies CCII[24], organo di carattere tecnico-consultivo con uno specchio d’azione ridotto, deputato ad agire come “commissario ad acta” e ad “esprimere un parere funzionalizzato alla omologazione”[25].
I casi di distorsione eclatanti sono quelli dell’abuso dello strumento, non più orientato a comporre la crisi dell’impresa, ma curvato al raggiungimento di utilità ulteriori, con un ingiusto e sproporzionato sacrificio delle controparti contrattuali. Quando la malafede – ossia l’antitesi di quella buona fede e correttezza cui l’art. 16, comma 4, pretende ancorati i comportamenti delle parti – contamina la procedura concordataria semplificata, plasmandola sullo scopo esclusivo del tirare a campare, procrastinando la dichiarazione di fallimento, a venire in auge è un’ipotesi di c.d. "abuso del processo". Lo strumento è impiegato, infatti, per il perseguimento di finalità esorbitanti e disallineate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento lo ha approntato. 
Le evenienze abusive sono, peraltro, tendenzialmente neutralizzate su almeno tre piani. Intanto attraverso la minuziosa valorizzazione dei requisiti di indipendenza e professionalità dell’esperto (l’art. 16, commi 1, 2 e 3, CCII di requisiti ne sciorina un catalogo); inoltre, mediante l’obbligo – più volte richiamato – delle parti di comportarsi “secondo buona fede e correttezza”, obbligo che sospinge gli attori della crisi ad un approccio virtuoso e ad un impiego non bizzarro degli istituti; infine, per il tramite del rinvio, ex art. 25 sexies, comma 8, all’art. 106 CCII in tema di revoca del concordato preventivo ordinario, con un travaso nell’alveo del semplificato del novero di atti, omissioni e frodi propri della norma richiamata e suscettibili di bloccare il corso della procedura e di sancirne negativamente l’epilogo. 
Il secondo presupposto oggettivo del semplificato è la documentata conduzione in buona fede delle trattative nella composizione negoziata abortita. Il percorso di mediazione dev’essere svolto da un debitore che sebbene si trovi in una situazione economico-finanziaria passibile di volgere al peggio, mostri di gestirla diligentemente ab initio. Non vi è buona fede o correttezza, a dispetto di quanto l’esperto se del caso possa attestare, nel contegno di un imprenditore che si sia affacciato alla composizione in uno stato di impotenza finanziaria e senza disporre di una strategia abbozzata e perfettibile, ma concreta e tangibile sul piano degli interventi attuabili, come tale suscettibile di condurre la realtà produttiva al ripristino dell’equilibrio economico-finanziario. 
È stato osservato in giurisprudenza che il requisito dello svolgimento in buona fede delle trattative postula, innanzitutto, che vi stata una effettiva e completa interlocuzione con i creditori interessati dal piano di risanamento, i quali devono aver ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore e sulle misure per il risanamento proposte, e aver potuto esprimersi su di esse; inoltre, comporta che le trattative si siano sviluppate con la sottoposizione ai creditori di una (o più) proposte con le forme previste dall’art. 23, comma 1, CCII; infine, implica che sia stata fornita ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle già menzionate soluzioni con quello che potrebbero ottenere dalla liquidazione giudiziale[26]. 
Nel medesimo solco, la dottrina ha osservato che può dirsi conforme a buona fede l'atteggiamento dell'imprenditore nello svolgimento delle trattative solo se queste sfocino nella individuazione di una soluzione effettivamente sottoposta ai creditori, recante un soddisfacimento almeno equivalente a quello atteso da un'eventuale liquidazione, veicolata attraverso lo strumento giuridico – fra quelli disponibili ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 11 D.L. n. 118/2021 (ora art. 23 CCII) – più adatto a consentirne l'approvazione[27].
L’ultimo presupposto oggettivo inerisce la residualità del nuovo istituto. È escluso il debitore possa dedicarsi integralmente, nel corso delle trattative, alla predisposizione di una domanda di concordato semplificato. La composizione negoziata deve ab initio risolversi in un esperimento di recupero, praticabile per tabulas, ma rivelatosi inefficace. La relazione finale dell’esperto varrà a dar conto proprio di ciò, strategie iniziali e risultati reali, fornendo una certificazione ragionata del naufragio del percorso di mediazione. Dal contenuto del documento emergeranno le incidenze delle congiunture economiche, ma anche la dimensione delle responsabilità individuali delle parti e dell’esperto stesso. In ogni caso, verrà in rilievo la mancanza di alternative rispetto al ricorso all’istituto concordatario, ossia l’unicità di esso quale unico strumento adoperabile a fronte della panoplia di mezzi descritta dall’art. 23, comma 1, lett. a) e b), CCII.
In giurisprudenza, si è condivisibilmente ritenuto che qualora in esito al percorso di composizione negoziata si palesi praticabile il ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti (c.d. ADR), anche con transazione fiscale, l’imprenditore non è legittimato ad accedere al concordato semplificato, escludendolo l’art. 25 sexies CCII, che rende l’istituto in parola utilizzabile solo in via residuale ove risulti impraticabile la soluzione di cui all’art.23, comma 2 lett. b), CCII[28]. 
3 . Presentazione e ammissione
Ai sensi del comma 2 dell’art. 25 sexies l’imprenditore chiede l’omologazione del concordato con ricorso presentato – come per l’ordinario – al tribunale del luogo in cui l’impresa ha il proprio centro degli interessi principali (c.d. COMI).
Il contenuto del ricorso è il medesimo dell’art. 40 CCII, ancorché detta norma non sia menzionata[29]. Il ricorso è accompagnato dal deposito della documentazione indicata nell’art. 39 CCII, norma appositamente evocata. Dell’avvenuta presentazione del ricorso è effettuata comunicazione in favore del pubblico ministero, a cura del cancelliere, che prevede anche alla relativa iscrizione nel registro delle imprese entro il giorno successivo alla data del deposito. Dalla data della pubblicazione del ricorso si producono gli effetti previsti da alcune norme richiamate dal comma 2 di quella in esame e concernenti il regime delle prededuzioni in ambito concorsuale (art. 6), l’amministrazione dei beni in costanza di procedura concordataria (art. 46 e art. 94), il sistema dell’opponibilità degli atti (art. 96).
Differente, nell’istituto di nuovo conio, è rispetto al concordato ordinario, il contenuto della domanda, che qui comprende in via immediata la richiesta di omologazione dello strumento. 
Nulla di specifico la norma in commento riferisce in tema di assistenza legale del debitore. Nel vigore dell’art. 18 del D.L. n. 118/2021 autorevole dottrina ha valorizzato l’assenza di specificazioni per escludere la necessità della difesa tecnica, tanto nell’ordinario, quanto nel semplificato, laddove in tal senso deporrebbe anche la struttura elementare del procedimento[30]. Tuttavia, nel quadro codicistico vengono in apice, a conferma della necessità del difensore, da un lato l’appartenenza del concordato semplificato al novero degli strumenti di cui all’art. 2 lett. m bis CCII, dall’altro la valenza paradigmatica dell’art. 40 in punto di domanda di accesso a tali strumenti, nel cui comma 1 è pretesa la sottoscrizione da parte di “difensore munito di procura”. Del resto, la proposta concordataria è il pendant di una domanda giudiziale di regolazione della crisi nel cui ambito si incrociano interessi tendenzialmente antagonisti. L'iniziativa del debitore è suscettibile di instaurare un procedimento giurisdizionale nel cui quadro l’impianto è intimamente contenzioso, tanto da presupporre, per l’idoneità ad incidere su diritti soggettivi, l’ausilio di un avvocato. 
Un punto di diversità fra ordinario e semplificato si coglie nel mancato richiamo dell’art. 256 CCII, che condiziona l’ammissibilità della proposta alla sottoscrizione a cura dei suoi rappresentati legali e all’approvazione dei soci (nelle società di persone) o degli amministratori (in quelle di capitali) e che prevede, al comma 3, che decisioni e deliberazioni delle società di capitali finalizzate all’avviso dell’iniziativa concordataria constino per atto notarile e siano depositate nel registro delle imprese. L’omessa menzione parrebbe intenzionale: occorre fare in fretta per salvare l’azienda attiva, ma esausta, nel suo ultimo metro; si eliminano i passaggi formali e di controllo legalitario che potrebbero rallentare il tentativo. L’art. 2475 bis c.c. conferisce agli amministratori delle società a responsabilità limitata il potere di rappresentanza generale dell’ente e tanto dovrebbe bastare a consentire all’impresa di instradarsi nella procedura semplificata. Qualora il contratto di cessione concerna la sola attività in esercizio, a derivarne è una sostanziale modifica dell’oggetto sociale. La competenza in parte qua è riservata ai soci ex art. 2479, comma 2, n. 5 c.c., ma costoro potranno esprimerla anche a posteriori (e in ratifica) rispetto all’avvio dell’iter concordatario.
Altra difformità saliente fra ordinario e semplificato attiene alla mancanza in quest’ultimo dell’attestazione del piano concordatario di liquidazione dell’azienda. La cessione dell’aggregato di beni o del ramo aziendale nella cornice del semplificato non avviene ex abrupto, ponendosi in fondo ad un tragitto di negoziazione nel quale la trasparenza dell’informazione è un paletto fondamentale. L’ultimo step dell’itinerario di composizione è costituito dalla relazione finale dell’esperto (art. 17, comma 8), che fa luce sulle dinamiche della negoziazione, ma anche sull’attualità dell’impresa. A quel punto ciascun creditore gli atti dovrebbe averli già letti e decifrati per proprio conto con l’ausilio di consulenti, tanto che un’attestazione suonerebbe pleonastica.
Nessuna carenza di presidio degli interessi pubblicistici si rinviene nel procedimento semplificato, posto che al pari di quanto accade nell’ordinario, il ricorso, come già evidenziato, è sempre comunicato al pubblico ministero e pubblicato nel Registro Imprese (art. 25 sexies, secondo periodo, comma 2). L’organo requirente non registra variazioni di sorta sui propri poteri d’iniziativa, né sui presupposti sottesi al relativo esercizio.
Ai sensi del comma 3 dell’art. 25 sexies, il tribunale cui è indirizzata la domanda di concordato semplificato compie un primo scrutinio d’apertura, che investe la “ritualità̀” della proposta, nel contempo acquisendo tre documenti: la relazione finale dell’esperto; un suo parere specifico avente riguardo ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte; il parere di un ausiliario, all’uopo nominato ex art. 68 c.p.c., al fine di formulare valutazioni ad ampio spettro, non meglio precisate, quindi inclusive di ciascun profilo dell’ipotesi concordataria formulata dal debitore. I tempi processuali sono ristretti, essendo prescritto che l’ausiliario – al quale si applicano le norme in tema di requisiti di indipendenza previste dal Codice antimafia – accetti l’incarico entro tre giorni dalla comunicazione. 
Una peculiarità additata sin dalla vigenza dell’istituto semplificato nel contesto del D.L. n. 118/2021 ha riguardato la supposta esclusione nel concordato di nuova generazione di un vaglio giudiziale di ammissibilità[31]. Che manchi una fase di ammissione non è circostanza veritiera. Detta fase assume, piuttosto, una dimensione camerale e non partecipata, senza tuttavia risolversi in un passaggio formale. 
Nella “ritualità della proposta”, che consiste in un “controllo di legittimità focalizzato sul rispetto delle condizioni di accessibilità dello strumento”[32], risuona, infatti, l’eco dell’art. 241 CCII in tema di concordato nella liquidazione giudiziale (già art. 125 L. fall. in materia di concordato fallimentare). Le verifiche riguarderanno allora la regolarità della documentazione depositata e quella della procedura svolta, ma anche la legittimazione alla proposta e la sua tempestività. Il controllo non assumerà una dimensione meramente esteriore. Pur in assenza (e nell’attesa) di un contraddittorio, nulla esclude che il giudice debba guardare a grandi linee alla legittimità sostanziale della proposta, che deve rispondere ad uno schema minimo e imprescindibile, che è dato dal rispetto dell’ordine delle prelazioni, dalla suddivisione eventuale in classi per posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, dall’assicurazione a ciascuno della guarentigia di un’utilità, dalla rispondenza della relazione dell’esperto ad un principio di realtà e razionalità. 
Il vaglio sulla completezza della relazione dell’esperto costituisce un aspetto basilare, suscettibile di implicare la richiesta a quest’ultimo di un supplemento di riflessione qualora l’argomentare esibito si mostri apodittico. Il giudice deve appurare che il debitore sia approdato dinanzi a lui per il sentiero di una composizione non farlocca. È tenuto quindi a rileggere, attraverso la relazione finale, l’evoluzione del circuito negoziale, al fine di constatare se il debitore si sia mosso o meno in buona fede all’interno di esso, se l’esperto si sia mostrato professionalmente avveduto e neutrale, se la strategia di risanamento dell’azienda apparisse compatibile con la situazione primigenia dell’impresa e la congiuntura di mercato e di settore in cui operava, ancorché le contingenze successive, l’imprevedibilità delle dinamiche concorrenziali e l’indisponibilità (legittima) di taluni creditori ad accettare rivisitazioni dei rapporti, l’abbiano alla fine frustrata. La norma in commento impone all’esperto di “dichiarare” se le trattative si sono svolte “secondo correttezza e buona fede” il che serve a consentire al giudice di sanzionare fin da principio gli abusi dello strumento, qualora le condotte o le omissioni dovessero apparirgli disallineate da quel paradigma. È l’art. 4 CCII a sciorinare fra i doveri delle parti quello della buona fede e della correttezza nell’approccio alla crisi del debitore. I creditori professionali – quindi gli istituti bancari su tutti – sono tenuti a prendere parte al governo negoziale della crisi in modo da consentire soluzioni collettivamente efficienti, oltre che individualmente appaganti, assumendo condotte sollecite ed informate, pur se ovviamente libere nel merito delle valutazioni. È in tal senso che la relazione conclusiva dell’esperto deve testimoniare expressis verbis lo svolgimento virtuoso della negoziazione, il che equivale a dire che la composizione non solo dev’essere stata attivata, ma dev’essere stata lealmente condotta dalle parti, finendo per inciampare – per “certificazione” dell’esperto – su elementi ultra vires, trascendenti il rispettivo impegno delle parti a concluderla proficuamente. Si crea una diga rilevantissima in capo all’autorità giudiziaria, chiamata a compiere una valutazione di merito sul contenuto della relazione, esigendone l’eventuale completamento in ordine agli eventuali aspetti apodittici, reticenti o perplessi. Il controllo approfondito sulla relazione non è procrastinabile, spettando al tribunale, a salvaguardia del contraddittorio e dei diritti dei creditori, l’ufficio di assicurare la piena trasparenza della procedura anche nell’ottica consentire agli interessati privati del voto di esprimere tempestivamente il proprio dissenso, insorgendo con il rimedio dell’opposizione. 
Su questa linea, già a suo tempo tracciata[33], la giurisprudenza di merito ha rilevato che nel vaglio di ritualità del tribunale rientra la verifica, non solo della formale attestazione, da parte dell’esperto, della sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 25 sexies, comma 1, CCII – ossia svolgimento di trattative secondo correttezza e buona fede e impraticabilità delle soluzioni contemplate dall’art. 23, commi 1 e 2, CCII – ma anche l’attendibilità e la ragionevolezza di tale attestazione, che qualora priva di motivazione o assistita da una trama di argomentazioni carente di riscontri nella documentazione in atti, rende la proposta irrituale[34].
Ciò che rimane certamente esterno al vaglio d’apertura sono la fattibilità e i risultati presumibili della liquidazione, al netto di una manifesta ed eclatante inattitudine del piano.
Il tribunale che dalla narrazione dell’esperto rilevasse l’assenza del presupposto della buona fede nello svolgimento delle trattative non sembra tenuto a fissare, per economia del processo e logica del giudizio, l’udienza di omologazione, adottando piuttosto, immantinente, un provvedimento d’inammissibilità della domanda. In caso contrario l’udienza si risolverebbe in un esercizio di stile o in un simulacro privo di funzione. Piuttosto, la declaratoria d’inammissibilità è coerente anche con il ruolo di preminenza dell’autorità giudiziaria nel contesto di riferimento.
Si è evidenziato che il tribunale è tenuto ad acquisire, in aggiunta alla relazione finale, ex art. 25 sexies, comma 3, il parere dell’esperto sui presumibili risultati della liquidazione e sulle garanzie offerte. Al punto 13.1 della Sez. III del Decreto dirigenziale 28 settembre 2021 viene suggerito all’esperto di svolgere, in costanza di trattative, una stima del patrimonio del debitore, di modo che, non appena il tribunale gli richieda il parere di cui all’articolo 18, comma 3, egli possa agevolmente pronunciarsi sui presumibili risultati della liquidazione e sulle garanzie offerte dagli eventuali proponenti l’acquisto dell’azienda, di suoi rami o di singoli cespiti. Si tratta di una subitanea acquisizione che non si spiegherebbe nell’economia di un controllo solo “notarile”, trovando invece ragione proprio nell’esigenza di un vaglio non superficiale già a questo punto. Se al giudice spettasse d’apprezzare il solo ossequio delle forme per rimandare all’omologa il rispetto della sostanza, di quel parere supplementare avrebbe ben poco bisogno.
In giurisprudenza, si è ritenuto che già nell’ambito della valutazione di ritualità della proposta di concordato liquidatorio semplificato sotto il profilo della sussistenza della buona fede nella conduzione delle trattative di composizione negoziata e nella prospettiva dell’omologazione, il Tribunale possa invitare il proponente a chiarire se sussistano i presupposti per l’esperimento di azioni revocatorie, risarcitorie o, restitutorie nell’alternativa fallimentare nonché prescrivere che l’esperto, nel valutare il possibile esito della liquidazione, si pronunci in proposito[35].
A tenore del comma 3 e del comma 4 dell’art. 25 sexies, il tribunale emette un decreto con cui “nomina” un ausiliario, sorta di succedaneo del commissario giudiziale del concordato ordinario, impegnandolo ad accettare entro tre giorni e a rendere un parere ad ampio spettro sulla proposta concordataria; “ordina” la comunicazione ai creditori della relazione dell’esperto e dei pareri di quest’ultimo e dell’ausiliario; “fissa” l’udienza per l’omologazione. Benché la norma adoperi l’indicativo presente – quasi a tratteggiare l’emissione del provvedimento di default – è fisiologico evidenziare, in aggiunta ai rilievi prima espressi, che qualora la fattibilità economica e giuridica dell’ipotesi concordataria dovesse apparire prima facie insussistente, al lume del vasto corredo di informazioni e valutazioni di cui il tribunale fin dal debutto dispone, la procedura concordataria possa chiudersi hic et nunc, con la pronuncia di una declaratoria di inammissibilità, in luogo di un’inutile appendice omologatoria. 
In tal senso, sembra deporre anche il contenuto del secondo inciso dell’ultimo comma della norma in esame, che equipara il decreto che dispone la comunicazione della proposta ai fini di cui all’art. 106 CCII. È il concordato ad essere revocabile ai sensi della norma, non certo (e non solo) l’udienza che del concordato scandisce il successivo (ed eventuale) momento processuale.
In forza del comma 4 dell’art. 25 sexies, con il medesimo decreto con cui nomina l’ausiliario che lo agevolerà nella lettura tecnica della soluzione concordataria prospettatagli, il tribunale ordina che la proposta, unitamente alla relazione finale dell’esperto e ai pareri di quest’ultimo e dell’ausiliario sia comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall’elenco depositato unitamente al corredo documentale funzionale all’accesso ex art. 39, comma 1, allo strumento di regolazione della crisi. Le comunicazioni specificative dei dati utili alla valutazione della proposta concordataria vengono gestite in via telematica, solo in mancanza ricorrendosi alla più tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento. 
Con il medesimo decreto il giudice fissa un’udienza finalizzata ad assicurare il contraddittorio, calendarizzandola in una data che lasci intercorrere rispetto alla scadenza del termine di accettazione dell’incarico da parte dell’ausiliario un lasso non inferiore a quarantacinque giorni. È previsto, inoltre, che i creditori e qualsiasi altro interessato possano proporre opposizione all’omologazione costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell’udienza anzidetta.
Vi è nella norma una lacuna. Proprio con riferimento all’udienza si è rilevato in dottrina che, pur in mancanza di un'esplicita previsione di legge deve reputarsi che, in applicazione analogica dell’art. 48, comma 1, CCII, anche la fissazione di essa debba essere comunicata ai creditori, i quali d’altronde, per poter proporre opposizione costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima, devono esser posti in condizione di conoscere la data in cui si potrà sviluppare il contraddittorio processuale, oltre che gli altri elementi espressamente indicati dalla norma[36]. Sempre per applicazione analogica dell'art. 48, comma 1, si è postulata l’iscrizione doverosa del provvedimento del tribunale nel registro delle imprese[37]. 
Il provvedimento del tribunale, instaurando una fase contenziosa necessaria del procedimento, quale è il giudizio di omologa, deve essere iscritto a ruolo a cura del debitore[38]. È stata sottolineata la mancanza di un termine minimo tra la comunicazione ai creditori della data dell'udienza e quest'ultima: nessuna disposizione assicura, pertanto, ai creditori di avere uno spazio temporale congruo tra la data in cui ricevono la comunicazione dell'udienza unitamente ai pareri e alla relazione e quello perentorio di dieci giorni prima dell'udienza in cui possono costituirsi[39]. 
La discrasia più importante fra procedura concordataria ordinaria e procedura semplificata attiene proprio alla mancanza del voto dei titolari delle pretese[40]. L’elemento è per certi versi inedito e di sicuro vale a conferire una più spiccata forza contrattuale all’imprenditore in fase di trattative, posto che i creditori mal disposti a rimodulare le pretese entro i limiti esterni dell’apprezzabile sacrificio saranno ben consapevoli che il mancato accordo non li premierà, perché non saranno ulteriormente chiamati a pronunciarsi, né riceveranno di più nel plesso della liquidazione giudiziale. In realtà, quest’ultima procedura non aggiunge e non toglie nulla ai creditori, sicché su un piano sistematico viene a rappresentare nel nuovo ambito codicistico l’ultimo ricovero per quelle imprese che non siano riuscite a cogliere, in modo razionale e solerte, la possibilità, prima di trovare un accordo con i propri creditori per la continuazione dell’attività, quindi, in caso d’insuccesso, di esdebitarsi cedendo il patrimonio, senza infliggere un danno. Il concordato semplificato si orienta verso il mercato, facendo venire alla luce la primazia di uno specifico interesse pubblico: la salvaguardia delle porzioni ancora attive dell’azienda in affanno, ogni qualvolta il rallentamento processuale non assicurerebbe ai creditori un beneficio monetario maggiore, né un virtuale vantaggio compensativo. Ciò giustifica l’esclusione dei creditori dal procedimento di formazione ed approvazione della proposta di concordato, perché per costoro la soppressione del voto non è un guaio.
Nel concordato ordinario la scelta tra la liquidazione concordataria e quella giudiziale è rimessa, in concreto, al consenso strutturato dei creditori, che ne apprezzano la convenienza in punto di tempi, misure e probabilità di soddisfazione delle rispettive ragioni; nel semplificato la valutazione di detta convenienza è operata individualmente da ciascun creditore. Se nell’ordinario l'apprezzamento rimane espressione di aggregazioni creditizie maturate, spontaneamente o meno, sul presupposto di interessi omogenei; nel concordato semplificato il merito di quell’apprezzamento è, perlomeno, custodito in capo a ciascun creditore, il quale, a prescindere dall’importo del dovutum, è legittimato a far valere il proprio diritto e a far pesare l’interesse peculiare che vi è sotteso, interpellando il giudice con l’opposizione all’omologa. In assenza di votazione di creditori consenzienti e/o dissenzienti, la legittimazione a tale rimedio va riconosciuta ad ogni creditore[41].
L’urna del voto che rimane chiusa non comporta una reale compromissione del diritto di difesa (e di parola). Quel diritto è potenzialmente accresciuto e rafforzato, dal momento che i creditori lo recuperano in virtù del riconoscimento della legittimazione a proporre a titolo individuale l’opposizione, deducendo suo tramite tutta la gamma delle contestazioni possibili. 
In luogo del commissario giudiziale del concordato ordinario, nel semplificato viene alla ribalta un mero ausiliario ex art. 68 c.p.c. È naturale sia così. Il baricentro della procedura concordataria semplificata è il giudice, che assorbe a sé ogni compito, senza delegarne alcuno. La sola figura compatibile con quest’impostazione è un professionista di complemento, destinato a fornire un supporto specialistico per le valutazioni e determinazioni del tribunale, ma senza quella profondità indagatoria propria dell’ufficio commissariale. 
È preclusa la fruibilità della transazione fiscale ex art. 88, comma 2 bis, CCII, norma non richiamata dall'art. 25 sexies CCII e non adattabile alla fisionomia strutturale della procedura di concordato semplificato, nel cui ambito i creditori non sono chiamati ad esprimersi col voto, ma ad insorgere, qualora lo ritengano, con l’opposizione[42].
4 . Omologazione ed effetti
Nel concordato semplificato la funzione dell’omologa è, ad un tempo, quella di sorvegliare il coacervo di interessi giuridicamente rilevanti che gravitano sulla procedura e quella di renderne efficace e vincolante l’epilogo per tutti i creditori, conferendovi la veste formale di un provvedimento[43].
A quest’ultimo si giunge per il tramite di un’udienza nella quale vengono tendenzialmente canalizzate tutte le questioni di legittimità del procedimento e vantaggiosità della proposta che i creditori intendano sollevare attraverso specifiche opposizioni “nel termine perentorio di dieci giorni prima” (art. 25 sexies, comma 4). Naturale che ogni questione sottenda quasi sempre una controversia sull’opportunità di comporre la crisi col concordato anziché risolverla nella liquidazione giudiziale[44]. 
Ai sensi del comma 5 dell’art. 25 sexies CCII viene precisato che il tribunale può disporre d’ufficio tutti i mezzi istruttori officiosi che ritiene necessari. In esito ad un’attività istruttoria la cui area sarà naturalmente influenzata dalla presenza o meno di opposizioni[45], il tribunale omologa il concordato, previo l’esercizio di un vaglio quadrangolare. Quest’ultimo attiene, da un lato, alla regolarità̀ del contraddittorio e del procedimento, dall’altro, al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, da un altro lato ancora, alla fattibilità̀ del piano di liquidazione ipotizzato, da un ultimo lato, all’attitudine della proposta a non arrecare pregiudizio alcuno ai creditori rispetto all’evenienza della liquidazione giudiziale e ad assicurare a ciascuno di costoro un’utilità̀ quale che sia.
Il sindacato del tribunale comporta un controllo anche della valutazione espressa dall'esperto sullo svolgimento delle trattative, dal che deriva la piena facoltà del giudice di negare l'omologa, pur a fronte di un giudizio positivo sulla correttezza e buona fede del debitore nel contesto negoziale, magari valorizzando in senso ostativo l’apporto reso dall’ausiliario nominato[46]. 
Il decreto omologatorio prevede un esame pervasivo, in quanto supportato da tutti i mezzi istruttori – invocati dalle parti o disposti d’ufficio – che il giudice reputi utili (art. 25 sexies, comma 5). Se nel contesto dell’omologazione del concordato ordinario, il giudice si muove nel circuito della regolarità della procedura e del computo dei voti espressi dai creditori, valutando la convenienza dell’ipotesi concordataria nei soli casi di opposizione, in ambito di concordato semplificato lo scrutinio assume un’intensità più acuta. Intanto, perché venendo in rilievo processualmente il primo momento di confronto reale fra i creditori il giudice accerta l’integrità del contraddittorio in virtù del coinvolgimento effettivo di tutti i titolari delle pretese. Il tribunale appura, poi, che siano stati rispettati il rango e l’ordine delle prelazioni, senza che ne sia stata sovvertita alcuna. Inoltre, su un crinale di eterotutela delle posizioni dei creditori, il vaglio occupa in modo totalizzante il ventaglio della fattibilità del piano di liquidazione. Si accantona la scomposizione della fattibilità nelle dimensioni giuridica ed economica, sul presupposto dell’attribuzione al giudice del potere d’intercettare ogni impossibilità di attuazione del piano per via di un presupposto di quest’ultimo di per sé non realizzabile. Che tale presupposto si risolva in una impossibilità materiale, anziché giuridica, non esprime nel contesto in esame alcuna saliente differenza: sia l’impossibilità materiale, che quella giuridica, rilevano come “fatto” idoneo a rendere inattuabile un determinato programma di cessione di una frazione attiva dell’azienda, per via di un condizionamento, che ora riviene dal diritto scritto, ora giunge dall’ambiente esterno inciso dal diritto, quindi in sostanza dalla realtà di mercato che attraverso il diritto si tende a governare. È il giudice a far da equilibratore, nell’uno come nell’altro caso.
Ai fini del controllo di fattibilità il modello di riferimento sembra dover essere costituito dalla norma di cui all'art. 112, comma 1, lett. g), CCII, che riprende il filo conduttore della “valutazione non negativa”, in luogo di quella positiva, contemplata nel principio generale di cui all’art. 7 CCII; in quest’ottica la fattibilità del piano andrà intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati[47].
Vi è una dilatazione del sindacato che gli fa lambire la meritevolezza stessa dell’intrapresa. Perlomeno ogni qualvolta l’acquisto dell’azienda non sia preceduto da un’offerta preconfezionata, il giudice si trova di fatto a valutare se la continuità aziendale residua che la realtà produttiva esprime sia effettivamente degna di essere proseguita o rivitalizzata, sia pur per mano altrui. 
Nel raffronto comparativo fra concordato semplificato e liquidazione giudiziale, il giudice deve valutare la possibilità che l'attivo ottenibile nell’alveo di quest’ultima sorpassi quello attualmente disponibile o che, perlomeno, il passivo della procedura maggiore sia più ridotto del fabbisogno concordatario. Per quanto non sia agevole occorre preventivare quali azioni revocatorie o di responsabilità nel contesto liquidatorio giudiziale possano cogliere nel segno a livello di esito finale. La valutazione è articolata e non va divisa dalla necessità di computare in prognosi anche tutti gli oneri connessi alla successiva liquidazione giudiziale, ad onta della più rapida e meno dispendiosa cornice concordataria. Alla procedura maggiore può accompagnarsi l’apprensione alla massa di beni ulteriori rispetto a quelli concordatariamente disponibili, mal essa, al pari del fallimento di cui riprende l’archetipo, è in sé, quasi sempre, un fenomeno disgregativo del compendio aziendale, perché il fattore tempo non aiuta la salvaguardia dell’universitas rerum, ma ne frantuma gli elementi, ne fa evaporare gli intangibles. La valutazione dovrà naturalmente tener conto anche delle modalità e delle tempistiche del soddisfacimento offerto ai creditori[48]. 
Nel concordato semplificato quel che importa non è che lo strumento sia vantaggioso, ma che non sia deleterio. La convenienza è soppiantata dall’assenza del danno. Non conta l’esistenza di un quid pluris nella procedura concordataria in rapporto alla liquidazione giudiziale, basta assodare un trattamento economico perlomeno paritetico rispetto a quello che si ritroverebbe in quel diverso territorio concorsuale. Viene mutuato il c.d. principio di assenza di pregiudizio, sicché il creditore ha diritto a un trattamento non deteriore rispetto a quello che gli sarebbe spettato in caso di liquidazione del patrimonio. In giurisprudenza si è osservato che il Tribunale, nel verificare la assenza di pregiudizio della proposta nei confronti dei creditori, deve sia valutare se vi siano voci dell’attivo e del passivo che possano avere differente espressione nel concordato proposto e nell’alternativa liquidatoria, sia esaminare la ripartizione tra i creditori dell’attivo realizzato confrontando l’utilità che il creditore potrebbe conseguire in sede di liquidazione e di concordato. In nessun caso è possibile paragonare la proposta concordataria a quanto avverrebbe in sede di esecuzione immobiliare, trattandosi di prospettiva alternativa non contemplata dalle disposizioni di legge[49].
Indubbiamente, costituisce un valore aggiunto rispetto al perimetro liquidatorio la finanza esterna subordinata all’ottenimento dell’omologa, la cui misura confluisce nel calcolo utile al raffronto ipotetico fra concordato e liquidazione giudiziale. In questa prospettiva, è stato omologato un concordato semplificato la cui proposta si è incentrata sull’apporto di finanza esterna garantita attraverso un deposito fiduciario vincolato in favore dei creditori, condizionato all’omologa e rimesso alla custodia ed amministrazione di un notaio[50].
Per le imprese assoggettate alle procedure di sovraindebitamento il riferimento comparatistico corre naturalmente alla liquidazione controllata, alla quale restano naturaliter estranee le utilità eventualmente ritraibili da azioni revocatorie giudiziali e di responsabilità. 
La menzione dell’utilità per ciascun creditore nell’art. 25 sexies, comma 5, rimanda al background della lett. e) del comma 2 dell’art. 161 L. fall., ma a ben vedere lo rovescia. Se l’art. 84, comma 3, penultimo periodo esige che a ciascun creditore sia assicurata un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che ora “può anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”, viceversa, nella norma in esame scompare la locuzione "economicamente valutabile". L’utilità perde gli stilemi del “vantaggio economico” sia pur latamente inteso. Maggior incasso, minor spesa, scudo dalla revocatoria lasciano spazio a qualsiasi utilità tangibile, ancorché economicamente non computabile. Nulla, a quel punto, esclude che l’utilità risieda nella salvaguardia di un rapporto in corso di esecuzione o nella conservazione promessa di una posizione negoziale che in sede di liquidazione giudiziale rimarrebbe ineluttabilmente esposta. 
È la discrasia più appariscente fra ordinario e semplificato, ma ad imporla è la fisiologia delle cose. La posizione del creditore non registra un miglioramento, ma non sconta uno svantaggio. Anzi, deve conquistare una qualche utilità. Quale che ne sia la consistenza, quest’ultima prevale sull’opportunità di respingerla, perché nella liquidazione giudiziale non si tramuterebbe in un beneficio maggiore. Se l’ipotesi regolatoria della crisi-insolvenza contempla l’utilità, il concordato è ammissibile e il diritto del creditore può essere inciso contro la sua volontà. La logica del sistema rinuncia all’utopia del vantaggio migliorativo, in favore della salvaguardia di una posizione non deteriore e, soprattutto, utile. 
Il riferimento alla posizione del singolo creditore chiarisce, tra l’altro, che la valutazione del tribunale non è promiscua, ma individualizzata: è sufficiente che un solo creditore subisca un pregiudizio, oppure non tragga alcuna utilità, perché, in accoglimento dell’opposizione, debba negarsi l’omologa. Il vaglio del giudice rappresenta per i titolari delle pretese un evidente presidio di garanzia.
Il comma 6 dell’art. 25 sexies disciplina l’epilogo e il regime impugnatorio dell’omologazione, alla quale il tribunale è tenuto a provvedere con decreto motivato, espressamente provvisto di immediata esecutività. Del decreto sono stabilite la pubblicazione nel registro delle imprese secondo lo schema della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (il rinvio è all’art. 45 CCII), onde assicurarne la massima diffusione, e la reclamabilità in corte di appello entro trenta giorni dalla comunicazione, secondo il richiamato modulo dell’art. 247 CCII in tema di concordato nella liquidazione giudiziale. 
Il comma 7 dell’art. 25 sexies prevede la proponibilità contro la decisione d’appello è proponibile del ricorso per cassazione, entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Il comma 8 della norma descrive, infine, gli effetti dell’omologazione, mediante il rinvio ad alcune norme sul concordato ordinario, operato con la clausola di compatibilità. Sono richiamate le disposizioni in tema di revoca del concordato preventivo (art. 106), di obbligatorietà dello strumento omologato per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese (art. 117), all’esecuzione del concordato (art. 118), alla risoluzione (art. 119), all’esenzione dai reati di bancarotta (art. 324), al reato di simulazione o dissimulazione dell'attivo o del passivo concordatari (art. 341). 
La dottrina ha sottolineato che, sebbene difetti nel concordato semplificato la dimensione "privatistica" del concordato ordinario (rappresentata dall’attribuzione ai creditori della decisione sull'approvazione della proposta) e faccia spicco l’assenza di una norma di chiusura che rinvii alla disciplina del concordato preventivo "in quanto compatibile", tale disciplina resta suscettibile di fornire precetti applicabili per analogia[51].
Non viene più richiamato, in quanto archiviato nel contesto codicistico, il meccanismo del c.d. automatic stay. Il problema che conseguentemente si pone, tenuto conto del silenzio legislativo al riguardo, attiene all’applicabilità nel perimetro del concordato semplificato delle misure protettive e cautelari ex artt. 54 e 55 CCII. 
Condivisibilmente in giurisprudenza si è fatto notare
 che il procedimento previsto negli artt. 54 e 55 CCII rappresenta uno strumento applicabile in via generale a tutti i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e della insolvenza di cui all’art. 2 lett. m bis CCII, suscettibili di essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi[52]. Si è anche opportunamente osservato che in tema di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, ancorché non espressamente richiamate, sono suscettibili di operare le misure protettive ex art. 54, comma 2, primo periodo, CCII, con la conseguenza che qualora sia disposto il divieto di prosecuzione delle azioni esecutive il giudice dell'esecuzione correttamente provvede a sospendere il processo esecutivo con una mera presa d’atto di un effetto sospensivo aliunde determinatosi[53].
La conferma delle misure tipiche ex art. 54, comma 2, primo e secondo periodo, CCII e l’adozione delle misure temporanee di cui al terzo periodo, postula la verifica del rispetto dei requisiti formali previsti per l’accesso al concordato semplificato quale strumento prescelto e della strumentalità della protezione richiesta al superamento della crisi. La richiesta d’inibitoria di un potere di autotutela negoziale viene qualificata, in questa prospettiva, come misura protettiva temporanea ai sensi dell’art. 54, comma 2, terzo periodo, CCII[54]. 
Non è mancato fra i giudici di merito un contrario avviso, teso a evidenziare che le specificità del concordato semplificato, il quale presenta requisiti sostanziali e processuali eccezionali, impediscono di considerarlo una species di concordato preventivo e che la mancata previsione, agli artt. 25 sexies e septies CCII, della possibilità di emettere misure protettive nell’ambito di tale procedimento non può essere colmata mediante quella che viene reputata un’applicazione in via analogica dell’art. 54 CCII nella parte in cui richiama la procedura di concordato preventivo; da ciò si desume l’impossibilità, per il tribunale, di concedere misure protettive nell’ambito della procedura di concordato semplificato[55].
In realtà, un dato di approccio utile si scorge nel comma 2 dell’art. 54, che prevede l’applicazione della disposizione in parola alle richieste contenute nella domanda ex art. 40 CCII, il cui ultimo comma nel riferirsi a tutti gli strumenti di regolazione della crisi, sembra includere necessariamente anche la procedura di concordato semplificato. Non va, poi, trascurato che il procedimento previsto negli artt. 54 e 55 CCII disegna una disciplina congiunta delle misure protettive e cautelari provvista di una nitida finalità: evitare la dispersione dei valori dell’impresa nel tempo necessario a dichiarare aperta una procedura concorsuale. Questo plesso di regole sembra orientato a coprire, in via generale, tutti i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e della insolvenza, fra i quali rientra anche il concordato semplificato.
5 . Trattamento dei creditori
Secondo un’opinione affiorata in dottrina l'assetto normativo del concordato semplificato riprodurrebbe l’assetto delle regole di distribuzione del valore proprio del concordato ordinario. La verifica commissionata al tribunale dall'art. 25 sexies, comma 5, CCII, tesa a riscontrare "il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione", in assenza di specificazioni, implicherebbe il ricorso al criterio-guida valido per il concordato preventivo ordinario. In tal senso, se il piano alla base del concordato semplificato è di tipo esclusivamente liquidatorio, dovrebbe valere la regola della priorità assoluta, se il piano contempla l’alienazione dell’azienda o di suoi rami verrebbe in apice la regola della priorità relativa[56].
In realtà, i criteri di distribuzione del valore di cui all’art. 112 CCII non sono richiamati in quanto le regole che valgono nel semplificato sono necessariamente e stesse che operano per l'imprenditore inadempiente sottoposto a liquidazione. Il debitore risponde nei confronti dei suoi debitori secondo il modello degli artt. 2740 e art. 2741 c.c. il cui meccanismo s’incentra sull’eguale diritto di tutti i creditori a soddisfarsi sui beni del debitore comune, salve le cause di prelazione, che derogano al principio della soddisfazione paritaria. Il semplificato è uno strumento di attuazione dalla garanzia patrimoniale rappresentata dalla prima delle due norme e realizza coattivamente quella garanzia rispettando, sul piano della soddisfazione dei creditori, l’ordine a quel punto ineludibile delle prelazioni. Pertanto, ciò che attiene al patrimonio del debitore va necessariamente attribuito secondo detto ordine, con soddisfazione integrale del prelatizio di maggior grado prima che quello di grado inferiore possa essere gratificato anche solo percentualmente; i chirografari devono, inoltre, trovare soddisfazione integrale prima che i creditori postergati possano, anche solo parzialmente, essere soddisfatti a loro volta[57]. 
Il controllo del rispetto del principio delle graduazioni prelatizie si traduce nell'esigenza di verificare che il valore di liquidazione dell'impresa sia distribuito nel pieno rispetto dei privilegi, quindi secondo la regola della priorità assoluta (che impedisce la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore), con conseguente inapplicabilità della relative priority rule sul surplus concordatario[58]. 
Il piano può, comunque, prevedere la suddivisione dei creditori in classi, pertanto il controllo di regolarità della procedura implica la valutazione di corretta formazione delle classi e la parità di trattamento dei creditori all'interno di ciascuna classe[59]. 
Nel concordato, tanto ordinario, quanto semplificato, il concorso presenta una fisionomia ricorrente, in quanto la soddisfazione dei crediti può avvenire anche con mere attribuzioni di utilità, benché non monetarie, con efficacia esdebitativa verso tutti: è l’utilità economicamente valutabile dell’art. 84, comma 3, CCII (e già dell’art. 161, comma 2, lett. e) o l’utilità tout court dell’art. 25 sexies, comma 5, CCII. Tuttavia, il trattamento stabilito per ciascun creditore non può mai trascinare con sé l’effetto di un’alterazione dell’ordine dei prelatizi, richiamato proprio nel ridetto comma 5 e protetto a monte dall’art. 2741 c.c.[60].
A fronte di quest’ultima norma generale, non rileva il mancato richiamo dell’art. 84, commi 5, 6 e 7, CCII, richiamo che sarebbe apparso non acconcio in mancanza dell’attestazione in esso contemplata. Nondimeno, la soddisfazione non integrale dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non potendosi alterare l’ordine delle prelazioni, rimane condizionata all’incapienza dei beni sui quali insiste la causa di prelazione, ossia alla “asseverata” insufficienza del loro valore in rapporto all’ammontare del credito garantito.
Se nel concordato liquidatorio ordinario vengono in rilevo la soglia minima di soddisfazione del 20% oltre a quella incrementale del 10% (art. 84, comma 4, CCII), nel semplificato non può che valere l’esatto contrario. La salvaguardia della continuità sbaraglia le soglie di ammissibilità. Lo strumento assicura la prosecuzione dell’impresa, sia pure in forma indiretta, fissare paletti sarebbe irrazionale. L’archetipo del nuovo istituto, d’altronde, è quello della cessio bonorum di cui all’art. 1977 c.c., il che vuol dire che – diversamente rispetto al concordato ordinario, in cui la soddisfazione minima assume i connotati dell’obbligazione – nel semplificato il debitore si limita unicamente a trasferire, eventualmente per il tramite del liquidatore della procedura, l’azienda o i beni. Pertanto, non potendo essere costruito alcun limite invalicabile e valendo un riferimento all’utilità senza attributi, è ben possibile che il creditore non sia soddisfatto in alcun modo, sempre che comunque riceva un’utilità e che nella liquidazione giudiziale non sia destinato a ricevere di meglio.
In giurisprudenza si è rimarcato che le differenze del concordato semplificato rispetto al concordato preventivo fanno del primo un istituto sui generis non paragonabile con il secondo in un rapporto di species a genus sicché la mancata previsione di una soglia minima di soddisfacimento dei chirografari non costituisce condizione ostativa all’omologa[61].
Sia pure in un breve inciso dell’arcinota sentenza a Sezioni Unite sulle prededuzioni funzionali nel concordato ordinario, anche la Corte di Cassazione ha evidenziato come la “significatività dell'apprezzamento senza limite minimo” sia stata “istituita nel concordato semplificato liquidatorio, conseguente alla composizione negoziata”[62].
6 . Nomina e compiti del liquidatore
La norma contiene la disciplina della liquidazione del patrimonio dell’impresa in ipotesi di presentazione di una proposta di concordato semplificato. A tenore del comma 1 il tribunale, con il decreto di omologa provvede immancabilmente a nominare un liquidatore. A costui si applicano, sia pur nei limiti della compatibilità, le disposizioni dell’art. 114 CCII, il cui comma 2, disposizione che a sua volta richiama, sempre in quanto compatibili, gli artt. 125, 126, 134, 136, 137, 231, rispettivamente riguardanti nomina, accettazione, revoca, sostituzione e responsabilità del curatore, nonché sic et simpliciter l’art. 358, precetto che si incarica di fissare i requisiti per la nomina agli incarichi nelle procedure; l’art. 114 rimanda, inoltre, alle disposizioni di cui agli artt. 34, comma 4 bis, 35.1 e 35.2 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. “Codice anti-mafia”), rafforzando i profili di indipendenza e trasparenza necessari allo svolgimento del delicato ruolo di liquidatore.
Il liquidatore può essere indicato in proposta dal debitore, benché l’indicazione non possa dirsi vincolante per il giudice, che nel contesto del semplificato pondera e garantisce come meglio ritiene il complesso di interessi attinti dalla procedura, tenuto conto di un contesto in cui i titolari delle pretese sono maggiormente esposti poiché neppure votano[63].
Una parte della dottrina ha escluso possa nominarsi liquidatore l’ausiliario, che finirebbe per cumulare due funzioni in apparente attrito: quella prettamente liquidatoria e quella di vigilanza sull’esecuzione del concordato, ascrittagli in virtù del richiamo ex comma 8, art. 25 septies all’art. 118 CCII, che disciplina la fase esecutiva nel concordato ordinario[64]. In realtà, considerato il ruolo preminente e pervasivo affidato al tribunale nel contesto del semplificato non sembrano ricorrere profili realmente ostativi all’identità soggettiva fra ausiliario e liquidatore. Del resto, in tal senso milita il comma 3 dell’art. 25 septies, che chiama in causa l’ausiliario per l’esecuzione dell’offerta addirittura nei più scivolosi fra i trasferimenti d’azienda, quelli anteriori all’omologa. In tal caso le funzioni ordinariamente affidate al liquidatore, di sondaggio del mercato e ricerca di soluzioni migliorative, sono attribuite all’ausiliario, previa autorizzazione del tribunale, cui il sistema di fatto rimette l’ultima parola. Nella prospettiva della sovrapponibilità dei ruoli si è perciò di recente giustamente orientata la giurisprudenza di merito[65].
Al liquidatore non sono attribuite solo incombenze di alienazione dei beni in base alle modalità preordinate dal piano di liquidazione in ossequio alle previsioni di legge (v. 7.). Detto organo deve valorizzare il patrimonio liquidabile, attraverso l’incasso dei crediti e l’esercizio delle azioni risarcitorie, di responsabilità verso gli organi amministrativi e di controllo[66] e recuperatorie di beni e utilità suscettibili di accrescere l’attivo distribuibile (o di ridurre il fabbisogno concordatario). Il liquidatore espleta, inoltre, compiti di ripartizione del ricavato fra i creditori sulla scorta del contenuto e delle tempistiche della proposta omologata, attraverso appositi piani operativi di riparto pedissequamente ritagliati sulle previsioni di quest’ultima.
7 . Modalità delle vendite
Il comma 2 dell’art. 25 septies dispone che ogni qualvolta il piano di liquidazione sotteso al concordato semplificato oggetto di omologa alleghi un’offerta c.d. “chiusa”, ossia esternata da un soggetto individuato, e inerente al trasferimento in proprio favore dell’azienda, di un suo ramo o di specifici beni, il liquidatore giudiziale verifica l’assenza di soluzioni migliori sul mercato. 
Qualora la risposta del mercato non sia migliorativa è lo stesso liquidatore a dare esecuzione all’offerta già ricevuta. Alla vendita si applicano gli artt. da 2919 a 2929 c.c. Si rimarca la natura di vendite coattive delle alienazioni endoconcordatarie. Benché veicolate mediante un negozio contrattuale, le stesse sono perciò suscettibili di essere successivamente accompagnate da un decreto del giudice purgativo di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli.
Il richiamo all’art. 114 CCII non incide solo sul compendio delle regole relative a presupposti e condizioni di assunzione ed esercizio del ruolo di liquidatore e allo statuto della responsabilità ad esso collegato. La norma in parola mutua, infatti, per i concordati con cessione dei beni, tra i quali il semplificato all’evidenza si situa, le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale. Queste ultime, sempre in quanto compatibili, disegnano il modello operativo adoperabile. Pertanto, la semplificazione dell’istituto di nuovo conio non lo affranca dalle regole previste per le alienazioni forzate della procedura maggiore, delle quali viceversa viene ripreso il calco, con il piano omologato che tiene luogo del programma di liquidazione, il liquidatore che fa le veci del curatore e l’indefettibile predisposizione di procedure competitive, che quand’anche puntino su soggetti specializzati, devono assicurare adeguate forme di pubblicità oltre alla massima informazione e partecipazione degli interessati, oltre che una reale competizione fra di essi. 
Non paiono adattabili all’impalcatura snella del concordato semplificato le previsioni sulla perizia di stima basata standardizzata, sul ruolo riconosciuto al comitato dei creditori in funzione dell’approvazione del programma di liquidazione e sul ricorso tendenzialmente vincolante al portale delle vendite pubbliche come fulcro e spazio di gestione delle vendite.
In particolare, il comitato non è organo menzionato e, come tale, non sembra riproducibile in vitro in un contesto in cui l’architettura dei ruoli fa perno su una funzione di salvaguardia delle singole posizioni creditorie da parte del giudice e/o su una eterotutela individualizzata da parte sua. 
La giurisprudenza ha osservato che l’iter liquidatorio deve essere attuato nel rispetto delle regole di trasparenza, pubblicità e competitività proprie della disciplina concorsuale, dato il rinvio normativo alle disposizioni che regolano le vendite in sede fallimentare (ora liquidazione giudiziale). Parimenti il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione è da intendersi in senso assoluto e non relativo[67].
Le modalità delle vendite non sono prestabilite in dettaglio, avendo optato il legislatore per norme di principio più che di precetto. In quest’ottica, sarà il liquidatore a congegnare le forme più efficienti e a suo modo di vedere produttive, limitandosi a rispettare i tre cardini che, nella duttilità delle forme, appaiono basilari: l’obbligo di previa stima dell’aggregato aziendale o dei singoli beni da dismettere, la pubblicità del tentativo di esplorazione del mercato, la competitività del meccanismo di individuazione dell’offerente da preferire rispetto ai competitors
La stima, purché metodologicamente corretta in quanto idonea ad individuare il prezzo reale del patrimonio da alienare, non esige particolari configurazioni. La pubblicità è necessariamente clusterizzata, quindi adatta al mercato e al settore di riferimento, oltre che alla natura e al grado di diffusione dei beni da dismettere, dovendosi massimizzare l’informazione e suo tramite la partecipazione. La competitività postula un meccanismo anche scarno di selezione degli offerenti sulla scorta di un principio di parità degli stessi e sulla scorta di parametri prefissati, quindi conoscibili.
8 . Concordato con offerta “chiusa”
La disciplina della liquidazione sconta una variante nell’ipotesi in cui il piano sia comprensivo di un’offerta irrevocabile d’acquisto, proveniente da un soggetto già individuato, e avente ad oggetto il trasferimento, anche in anticipo sull’omologazione, dell’azienda o di un suo ramo o di beni parcellizzati. La procedura semplificata ben può coniugarsi, ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 25 septies, con una prepacked solution.
Le regole dell’art. 114 CCII subiscono a contatto col concordato semplificato con offerta “chiusa” un importante deficit di compatibilità. Se il contenuto della proposta rimane rigidamente predeterminato nell’obiettivo, che necessariamente si riassume nell’alienazione ad altri dell’azienda o dei macchinari che la compongono, è il quomodo di quell’alienazione a sganciarsi qui da modelli predeterminati. Non solo perché rispetto al concordato ordinario non sono previste proposte concorrenti, benché parte della dottrina le ipotizzi[68], ma perché la verifica dell’assenza di soluzioni migliori implica un sondaggio di mercato, che in difetto di specificazioni deve avvenire senza schemi o a “schema libero”. 
Il tentativo di salvare a fine corsa il quid pluris della liquidazione concordataria mal sopporterebbe la sequenza dei termini e delle aste, pur ricondotta entro una forma morbida ed elastica. 
Piuttosto, diviene sufficiente la trasparenza verso il mercato della trattativa privata sulla circolazione dell’azienda. Dell’iniziativa rivolta al trasferimento del complesso produttivo occorre fare ostensione nei confronti degli operatori del settore, cui va rivolto – pur senza paratie formali – l’invito a manifestare un eventuale interesse parallelo a quello già da altri espresso. La vicenda circolatoria va sottoposta, cioè, alle reazioni del mercato, non importa come. Il mercato va sondato affinché possa rispondere agli stimoli facendo emergere interessi concomitanti suscettibili d’essere presi in considerazione nell’ottica di una vendita economicamente più vantaggiosa.
Divengono praticabili gare informali, coinvolgenti un numero circoscritto di potenziali offerenti, individuati nel piano di liquidazione tra quelli operanti nel comparto di riferimento dei beni posti in vendita e sollecitati a manifestare il proprio interesse all’acquisto mediante rilanci sul prezzo già offerto da taluno. Le offerte possono essere suscitate e raccolte secondo le modalità più varie, sia, dunque, attraverso forme cadenzate e procedimentalizzate, sia mediante forme più agili[69]. Il principio di competitività è, peraltro, salvaguardato solo in quanto, intercettati gli interessati, fra costoro e il primigenio offerente sia consentita una effettiva competizione sull’offerta più alta, che permetta di giungere alla selezione dell’offerta più vantaggiosa o più affidabile[70].
Il vero passaggio radicale è proprio nel superamento del vincolo della previa stima del bene. Il prezzo stimato cessa di atteggiarsi a imprescindibile valore base d’asta. Non occorrerà più partire necessariamente da esso, potendosi, piuttosto, sollecitare il mercato ad esprimerne uno differente, più alto o più basso, ma a prescindere da quell’iniziale indicazione[71].

Note:

[1] 
Tra i primi contributi sull’istituto v. L.A. Bottai, La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato, in Dirittodellacrisi.it, 9 agosto 2021; G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118 del 2021, convertito, con modifiche dalla L. n. 147 del 2021, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa, Speciale Novembre 2021 di Dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 138 ss.; S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa, Speciale Novembre 2021 di Dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi 155 ss.; P.F. Censoni, Il concordato «semplificato»: un istituto enigmatico, in Ristrutturazioni Aziendali, 22 febbraio 2022;G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in Fallimento, 2021, 1603 ss.; A. Farolfi, Le novità del D.L. n. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in Dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2021; V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa, Speciale Novembre 2021 di Dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 106 ss.; F. Aliprandi, A. Turchi, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio alla luce delle prime pronunce di merito, in Il Fallimentarista, 29 novembre 2022; F. Lamanna, ll concordato semplificato: incentivo per la composizione negoziata o arma “sleale” e “letale”?, in Il Fallimentarista, 27 aprile 2022.
[2] 
C. Ravina, Concordato liquidatorio semplificato: buona fede nelle trattative e comparazione con l’alternativa liquidatoria fallimentare, in Il Fallimentarista, 21 novembre 2022.
[3] 
A. Illuminati, Sub art. 25-sexies CCII, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di Di Marzio, 2022, 128.
[4] 
M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, 2023, 269.
[5] 
A. Pezzano, M. Ratti, Il concordato preventivo semplificato: un’innovazione solo per i debitori meritevoli, funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d’impresa), in Dirittodellacrisi.it., 19 ottobre 2021.
[6] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, in Fallimento, 2022, 1235.
[7] 
Così G. La Croce, Dalla negoziazione assistita al concordato semplificato, in La crisi d’impresa, a cura di M. Pollio, 2021, 261 ss. 
[8] 
Trib. Siena, 9 settembre 2022, in Dirittodellacrisi.it.
[9] 
Trib. Udine, 24 gennaio 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[10] 
F. Michelotti, La liquidazione giudiziale del concordato semplificato, in La crisi d’impresa, a cura di M. Pollio, 2021, 265 ss. 
[11] 
G. D’Attorre, La liquidazione cit., 162 ss.
[12] 
M. Fabiani, Codice della crisi e direttiva sui quadri di ristrutturazione, ovvero il concordato preventivo in mezzo al guado, in Foro It., 2022, n. 1, 20 ss. 
[13] 
M. Fabiani, Codice della crisi e direttiva sui quadri di ristrutturazione cit., 20 ss. 
[14] 
S. Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, in Ristrutturazioni Aziendali, 23 settembre 2021; sull’ampliamento del potere giudiziale insiste anche G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato: ovvero tutto il potere ai giudici, in Dirittodellacrisi.it, 11 novembre 2021.
[15] 
Questa impostazione è condivisa da M. Fabiani, Sistema cit., 269, il quale sottolinea l’applicazione delle norme “esemplificative delle procedure concorsuali (art. 46, 94 e 96 CCII)”. 
[16] 
Cass. 12 aprile 2023, n. 9730, in Dirittodellacrisi.it, a tenore della quale il concordato semplificato di cui al D.L. n. 118/2021, pedissequamente confluito nell'attuale art. 25 sexies del D.Lgs. n. 14/2019 in seguito al D.Lgs. n. 83/2022, pur connotato da peculiarità rispetto al concordato preventivo fin dalla fase d'accesso in quanto postula il previo percorso della composizione negoziata, rientra al pari di quest'ultimo nell'alveo delle procedure concorsuali, conseguentemente soggiacendo, ai fini dell'individuazione della competenza per territorio, in applicazione analogica dell'art. 161, comma 1, L. fall., alla regola della irrilevanza del trasferimento della sede sociale nell'anno che precede il deposito del ricorso, come confermato dalla linea di continuità tra le norme del D.L. n. 118 cit. e quelle del menzionato D.Lgs. n. 14/2019, che, ai sensi dell'art. 28, esclude la rilevanza del trasferimento del centro degli interessi principali intervenuto nell'anno antecedente al deposito della domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza di cui all'art. 2 lett. m bis del D.Lgs. n. 14/2019.
[17] 
Colloca lo strumento nella categoria dei “concordati non partecipati” M. Fabiani, Sistema cit. 268. L’A. segnala che l’interesse pubblico del semplificato quale “concordato coattivo” coincide con la “eliminazione dell’impresa senza passare dalla liquidazione giudiziale”.
[18] 
G. D’Attorre, Il concordato semplificato cit., 1606.
[19] 
Con decreto del 21 marzo 2023, è stato aggiornato, a cura del Ministero della Giustizia, il decreto in relazione al contenuto della piattaforma telematica nazionale ex art. 13 CCII, alla lista di controllo particolareggiata ex art. 5 bis CCII, alle indicazioni per la redazione del piano di risanamento e alle modalità di esecuzione del test pratico, nonché alla specifica formazione al possesso della quale è subordinata l’iscrizione degli esperti indipendenti.
[20] 
Una parte della dottrina si mostra, peraltro, dubitativamente possibilista in rapporto all’accessibilità del concordato semplificato anche nei casi di repentina archiviazione della composizione negoziata: v. G. D’Attorre, Il concordato semplificato cit., 1607. 
[21] 
Pur ponendosi in un’ottica guardinga rispetto all’evenienza dell’abuso dello strumento del concordato semplificato e della composizione negoziata sottolinea che “prospettiva di risanamento e stato di insolvenza non sono termini reciprocamente preclusivi” P.F. Censoni, Sulla (presunta) utilità del concordato "semplificato" per i creditori anche in assenza di soddisfacimento degli stessi e abuso dello strumento concordatario, in Fallimento, 2023, 3, 399.
[22] 
M. Fabiani, Codice della crisi e direttiva sui quadri di ristrutturazione cit., 20 ss.
[23] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1236.
[24] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1237.
[25] 
M. Fabiani, Sistema cit., 271.
[26] 
Trib. Firenze, 31 agosto 2022, in Dirittodellacrisi.it.
[27] 
A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, in Fallimento, 2022, 756 ss.
[28] 
Trib. Bergamo, 23 settembre 2022, in Dirittodellacrisi.it.
[29] 
È la procedura di concordato semplificato a risultare, d’altronde, all’inverso, espressamente richiamata dall'ultimo comma dell'art. 40 CCII, ove è previsto che il termine di cui al primo periodo non si applica se la domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza è proposta all'esito della composizione negoziata, entro sessanta giorni dalla comunicazione di cui all'art. 17, comma 8, con un chiaro rimando proprio al semplificato. 
[30] 
G. Bozza, Il concordato semplificato cit., 138.
[31] 
L.A., Bottai, La rivoluzione del concordato liquidatorio cit.
[32] 
M. Fabiani, Sistema cit., 2023, 271.
[33] 
S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa, Speciale di Dirittodellacrisi.it., a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 2021, 155 ss.
[34] 
Trib. Monza, 17 marzo 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[35] 
Trib. Ivrea, 27 maggio 2022, in Dirittodellacrisi.it.
[36] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235.
[37] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235; contra G. Bozza, Il concordato semplificato cit.
[38] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235.
[39] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235.
[40] 
G. Bozza, Il concordato semplificato cit.
[41] 
Così anche G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235.
[42] 
In tema v. A. Ferri, La falcidia dell’Erario nel piano del Concordato Semplificato: chimera od opportunità, in Il Fallimentarista 1 dicembre 2022.
[43] 
In tema v. M. Binelli, L’omologazione del concordato in continuità non approvato, in Dirittodellacrisi.it.
[44] 
Parla di “una maggiore intensità del controllo giurisdizionale nella fase dell’omologazione” C. Amatucci,Sul recepimento italiano della Direttiva Insolvency e sulla pretermissione del requisito di “impresa sana”, in Giurisprudenza Commerciale, 1, 2023, 47.
[45] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235.
[46] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235.
[47] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235.
[48] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati cit., 1235.
[49] 
Trib. Como, 27 ottobre 2022, in Dirittodellacrisi.it., con nota di T. Senni, Il concordato liquidatorio semplificato e le sue insidie: la pronuncia del tribunale di Como del 27 ottobre 2022. Riflessioni sull’approccio del creditore bancario, in Dirittodellacrisi.it.
[50] 
Trib. Udine 24 gennaio 2023 cit., che evidenzia, tra l’altro, come in luogo del deposito anche una fideiussione a prima richiesta correlata all’intervento finanziario di supporto si sarebbe potuta rivelare sufficiente).
[51] 
A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità cit., 756.
[52] 
Trib. Milano 16 settembre 2022, in Dirittodellacrisi.it.
[53] 
Trib. Lagonegro, 2 febbraio 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[54] 
Trib. Bergamo 12 gennaio 2022, in Dirittodellacrisi.it.
[55] 
Trib. Torino, 25 novembre 2022, in Dirittodellacrisi.it.
[56] 
G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, in Fallimento, 2022, 10, 1223.
[57] 
Sul trattamento dei privilegiati v. G. Buffelli, Il concordato semplificato: profili fiscali e trattamento dei crediti prelatizi, in Dirittodellacrisi.it, 12 gennaio 2022. 
[58] 
G. Nardecchia, Le omologazioni dei concordati cit., 1235.
[59] 
G. Nardecchia, Le omologazioni dei concordati cit., 1236.
[60] 
Contra sotto il vigore dell’art. 18, comma 5, D.L. n. 118/2021 v. G. Bozza, Il concordato semplificato cit., 2021.
[61] 
Trib. Como, 27 ottobre 2022, cit.
[62] 
Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2021 n. 42093, in Dirittodellacrisi.it. 
[63] 
G. D’Attorre, La liquidazione del patrimonio, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa, Speciale Novembre 2021 di Dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 162.
[64] 
G. D’Attorre, La liquidazione cit., 162.
[65] 
Trib. Udine, 24 gennaio 2023, cit.
[66] 
È compresa l’azione sociale di responsabilità.
[67] 
Trib. Como, 27 ottobre 2022 cit.
[68] 
R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristrutturazioni aziendali, 8 settembre 2021.
[69] 
Delle une e delle altre fornisce un novero esemplificativo G. D’Attorre, La liquidazione cit., 162 ss., collocando fra le prime l’invito a formulare offerte migliorative con apertura di data room e l’incarico conferito a soggetti specializzati per ricercare offerte migliorative e menzionando fra le seconde la pubblicazione di un invito a formulare manifestazioni di interesse.
[70] 
Parla di la “cessione a terzida attuarsi anche senza una rigorosa applicazione delle regole competitive” A. Mancini, La prospettiva del creditore nella composizione negoziata: linee operative per il suo advisor legale, in Dirittodellacrisi.it. 
[71] 
A. Pezzano, M. Ratti, Il concordato preventivo semplificato cit.

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